paolo-villaggio

03/07/2017: se ne va un altro grande pezzo di storia del nostro cinema. Un artista che ha saputo incarnare in maniera provocatoria e dissacrante l’archetipo dell’italiano medio anni ’70 (il borghese piccolo piccolo e mediocre, impiegatuccio servile, perseguitato dalla malasorte e dalle angherie dei suoi superiori) con stile e classe inimitabile.
Tutti sanno chi è Fantozzi, personaggio nato in un libro che nel 1971 vendette oltre un milione di copie e che dal 1975 al 1999 ha attraversato 10 pellicole (le prime tre assolutamente ottime, le altre alquanto discutibili e superflue, prodotte solo per fare cassetta svilendo il personaggio). Un personaggio il cui cognome è diventato sinonimo di goffaggine e/o situazioni paradossali e che è entrato finanche nel vocabolario italiano (chissà quanti autori possono fregiarsi di un titolo simile): grazie a lui è stato per l’appunto coniato l’aggettivo “fantozziano”.
Ma sbaglierebbe chi  pensasse a Villaggio solo come Fantozzi (personaggio che, detto in tutta franchezza, non amo moltissimo pur riconoscendogli una importanza enorme); ci si dimenticherebbe di Fracchia (una sorta di Fantozzi ante litteram) e del prof. Kranz tedesco di Germania nel programma tv “Quelli della domenica”, giusto per citarne un paio, senza contare il fatto che ha lavorato per registi del calibro di Salce, Monicelli, Avati, Comencini, Ferreri, Loy, Fellini…
Artista poliedrico, graffiante, capace di calarsi anche in ruoli impegnati e/o drammatici. Villaggio era questo e molto altro. E ci mancherà…

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