malìa vergine e di nome maria

Incredibile pellicola scritta e diretta da Sergio Nasca, un regista poco prolifico ma estremamente particolare: quasi tutti i suoi film sono opere notevoli e terribilmente ciniche, volutamente “cattive”. Il film di cui scriviamo nasce come “Vergine e di nome Maria” e per le sue tematiche andò incontro ad enormi noie giudiziarie in quanto ritenuto blasfemo: non è difficile intuirne il motivo, già dal titolo.Dissacrante, iconoclasta e sequestrato per vilipendio della religione cattolica, riapparve poi sugli schermi con il titolo definitivo “Malìa vergine, e di nome Maria” rivelandosi un flop al botteghino. Un vero peccato, perché il film di Nasca è estremamente interessante e tecnicamente validissimo e descrive magnificamente un microcosmo di baraccati meridionali alle porte di Torino che viene sconvolto da un evento che sembra avere tutti i crismi del miracolo.
La Maria del titolo è la quattordicenne Cinzia De Carolis, che i più ricorderanno nei panni della piccola Lori ne “Il gatto a nove code”, e non mancano i riferimenti biblici: abbiamo il falegname Giuseppe (Renato Pinciroli) e la prostituta Maddalena (Andréa Férreol) mentre Simone (Enzo Cannavale) e Giovanni (Giampiero Vinciguerra) portano il nome di due apostoli di Gesù. Da segnalare nel cast l’abbindolatrice Clelia Matania, lo strampalato e capellone Leopoldo Trieste, il bullo Marino Masè, il perfido vescovo Tino Carraro, la giornalista d’assalto Dada Gallotti e due sorprese clamorose: un inaspettato Alvaro Vitali in un ruolo drammatico e intenso e, soprattutto, un monumentale Turi Ferro in una delle sue interpretazioni migliori. Grandioso.
Il film gode dell’’ottimo commento musicale di Sante Maria Romitelli e oscilla continuamente tra la commedia nera, il drammatico e il grottesco. La denuncia, neanche troppo velata, nei confronti della Chiesa è piuttosto palese e offre alcuni momenti decisamente provocatori: citiamo ad esempio il buon Vitali che in una scena rompe delle noci utilizzando un grosso crocifisso e che in un’altra sfida il prete Turi Ferro al gioco delle tre carte utilizzando i santini e vincendo sempre. La carta che vince, però, è quella raffigurante il diavolo. Non male. E’ da segnalare, inoltre, anche una scena assolutamente folle che non si sa come sia riuscita a sfuggire alle forbici dei censori: non possiamo svelarla ma riguarda le parti intime della bambina protagonista…. Incredibile.
Pellicola cruda (ci sono dentro anche necrofilia e pedofilia) e dallo stile asciutto e senza orpelli, “Malìa vergine, e di nome Maria” è un autentico cult mai editato in videocassetta o in digitale che va recuperato senza indugio per riscoprire un’altra misconosciuta perla del magico cinema di genere italiano degli anni ’70. Una vera bomba.

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Nella periferia di Torino sorge una scalcinata baraccopoli che conta circa 1.300 persone, una sorta di agglomerato urbano composto da meridionali emigrati che vivono all’interno di prefabbricati. Al suo interno vi è perfino una piccola chiesa, edificata dal parroco siciliano Don Vito (Turi Ferro), quasi sempre semideserta: quando celebra la messa si contano al massimo 5 persone e a fargli da chierichetto e aiutante provvede Prospero (Alvaro Vitali), un suo giovane nipote muto e con disabilità intellettiva di cui egli si occupa dopo la morte della madre. In questa sorta di villaggio ci si arrabatta alla meglio: tra gli altri abbiamo Simone (Enzo Cannavale) e Andrea (Nicola Di Pinto) che sono ladri borseggiatori, Maddalena (Andréa Férreol) che fa la prostituta e il suo uomo, lo sbruffone Lello che si dà tante arie da macho (Marino Masè), è disoccupato e si vanta di essere il suo protettore. L’ambiente è estremamente povero e degradato e regnano sovrane l’ignoranza e la superstizione: il ciarlatano Zio Nicola (Leopoldo Trieste) si spaccia per guaritore e inventa continuamente filtri d’amore e pozioni magiche mentre invece Anna (Clelia Matania) offre consulti divinatori al prezzo di 1.000 lire ingenerando nella figlia quattordicenne Maria (Cinzia De Carolis) crisi epilettiche e convulsioni con delle scariche elettriche prodotte da un filo scoperto inserito in una presa della corrente. Durante queste crisi la bambina predice il futuro (promette case, posti di lavoro e matrimoni futuri) e qualche volta indovina pure; per questo si è creata nella comunità la convinzione che si tratti di una piccola santa. Don Vito cerca di combattere in ogni modo queste stupide credenze popolari ma resta sempre inascoltato.
Ma ecco che accade l’imponderabile: al culmine delle ultime convulsioni la bambina perde conoscenza e muore. Tutti sono sconvolti e il feretro viene posizionato nella Chiesa, in una piccola bara costruita in fretta e furia dall’anziano falegname Giuseppe (Renato Pinciroli). Nessuno può immaginare cosa accade la notte seguente: la bambina ritorna, bussando alla porta della madre e urlando disperata. Il dottore che la visita giunge alla conclusione che si era trattato di un caso di morte apparente, uno stato catalettico che non di rado si presenta in persone affette da convulsioni. Il villaggio resta comunque scosso: tutti credono che si sia trattato di una resurrezione.
Il bello, però, deve ancora venire: dopo tre mesi la bambina ha uno svenimento. Qualcuno crede che sia morta una seconda volta e invece la sorpresa è ancora più grande: il dottore sentenzia che la bambina è incinta e si trova già al terzo mese di gravidanza, pur avendo ancora l’imene intatto ed essendo tecnicamente ancora vergine. Ma allora come è possibile? Nessuno ha mai avvicinato la bambina, che oltretutto non esce mai di casa.
Inizia a diffondersi nel villaggio l’idea che la bambina sia realmente una santa e che ci si trovi dinanzi ad una seconda immacolata concezione. Ed ecco che come per incanto la chiesetta, fino a quel momento desolatamente semivuota, inizia a riempirsi di fedeli. Don Vito è felice di questo “riavvicinamento” alla fede ma ammonisce i suoi “parrocchiani” sulla natura di questa gravidanza che deve avere per forza qualche motivazione terrena e non altro. Ma l’ignoranza ha il sopravvento, legato anche al fatto che la bambina si chiama Maria. Rifugiarsi nella religione è per questa gente l’unica, vera speranza di redenzione di fronte ad un presente intriso di miseria e squallore. A questo punto urge un matrimonio riparatore e la maggioranza decide di darla promessa sposa al vecchio falegname Giuseppe, seguendo i dettami del vangelo. Il vecchio acconsente di buon grado e si porta la bambina a casa, con l’impegno di poter consumare il matrimonio dopo che ella avrà partorito. Ma tutto ciò non accade: Maria inizia a calarsi sempre di più nei panni della santa e obbliga Giuseppe ad inginocchiarsi per pregarla. Il vecchio, trovandosi ai piedi della bambina seduta su uno scranno, inizia ad accarezzarle le cosce e allora le urla della piccola richiamano tutti gli altri che reagiscono con offese e sputi al “sacrilegio” che stava per compiersi. Non ci sarà più matrimonio.
Passano altri due mesi e Zio Nicola, il guaritore, si trova in grandi difficoltà: già quando la piccola santa era “resuscitata” aveva perso molti clienti che si facevano preparare i filtri d’amore. Ora che si è scoperta anche vergine e incinta la madre ha portato la tariffa a 3.000 lire già solo per vederla e pregarla e nessuno si serve più da lui. Spinto dalla fame e dalla rabbia, lo pseudo santone si reca in città e per 30.000 lire vende la notizia ad un giornale di ciò che sta accadendo nella baraccopoli. Un’intrepida giornalista (Dada Gallotti), accompagnata da un fotografo, si reca sul posto per un’inchiesta e sul giornale viene fuori un titolo sensazionale: “Peppino e la vergine Maria”.
Ora Maria sfila addirittura in processione tra le baracche, seduta su un trono e portata in spalla, mentre una troupe televisiva filma tutto di nascosto. Il parto dovrebbe avvenire per fine dicembre, intorno a Natale… Don Vito viene richiamato severamente dal vescovo (Tino Carraro) che gli impone di scoprire con ogni mezzo chi abbia messo incinta la bambina, suggerendogli di utilizzare lo strumento della confessione che, notoriamente, è segreta. Ma Don Vito ha già confessato tutti e non ha scoperto nulla. In una conversazione telefonica con qualcuno più in alto (il Papa?) il vescovo arriva ad ipotizzare che, qualora non si riesca a dimostrare che la bambina è stata messa incinta in maniera “normale” si potrà sempre dire che il bambino che verrà al mondo è figlio del demonio…
Una sera Don Vito viene colto da un’illuminazione: l’unico a non poter parlare e ad aver potuto confessare il fattaccio è proprio suo nipote, il chierichetto muto. Solo lui era rimasto in chiesa quando fu portato il corpo della bambina che tutti credevano morta…. E così si scopre l’arcano: il giovanotto si era eccitato e, dopo averle tolto le mutandine, le era montato sopra per possederla ma lei si era mossa un attimo prima della deflorazione e lo aveva spaventato, provocandogli un’eiaculazione precoce che l’aveva comunque fecondata…
Il giorno dopo Don Vito porta Maria in chiesa con una scusa e poi si chiude dentro senza aprire a nessuno. La madre crede a un rapimento e raduna tutto il villaggio ma quando Don Vito esce allo scoperto rivela di aver celebrato il matrimonio tra Maria e suo nipote e che il figlio che ella attende non è il nuovo Messia ma il semplice frutto di un errore commesso da due giovani del tutto inconsapevoli. La gente, che aveva trovato in Maria la speranza di un riscatto dalla propria condizione di miseria e povertà, si sente tradita e reagisce malissimo, inveendo e tirando pietre contro la bambina. Per pochissimo la sassaiola non degenera in linciaggio: la bambina viene portata in salvo in chiesa ma i colpi ricevuti le provocano un aborto…

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Cast principale:

Turi Ferro

Cinzia De Carolis

Alvaro Vitali

Andréa Ferréol

Marino Masè

Clelia Matania

Leopoldo Trieste

Enzo Cannavale

Regia: Sergio Nasca

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