chi l ha vista morire

Plumbeo, angosciante e decisamente inquietante. Dopo il fulminante esordio con il bellissimo “La corta notte delle bambole di vetro” Aldo Lado si inserisce anch’egli nel prolifico filone del giallo che stava spopolando in Italia nei primi anni ’70 e lo fa in modo molto personale e atipico: in primis con l’ambientazione veneziana (la città lagunare è volutamente fotografata con toni crepuscolari, tenui e smorzati e questo già conferisce una certa atmosfera alla pellicola), in secundis con le vittime scelte dall’assassino (si tratta di bambine dai capelli rossi e Lado mostra davvero estremo coraggio osando l’inosabile) e infine sbaragliando l’iconografia classica del serial killer che stavolta non è agghindato con impermeabile nero, cappello e guanti ma si cela invece dietro l’abito in nero di una donna con pizzi e merletti e un cappellino con veletta calata sul volto. Lado insiste molto sulle soggettive dell’assassino, mostra il suo punto di vista spietato sul disfacimento dei valori morali della classe borghese (alcuni personaggi della storia sono coinvolti in orge e giochini perversi e si tratta di persone molto in vista in città) e tiene continuamente in ansia lo spettatore non concedendogli mai momenti di serenità: anche nelle sequenze apparentemente tranquille si respira sempre un clima quasi minaccioso che riesce a creare un senso di disagio. Morboso e malsano, si avvale di una interessante sceneggiatura e anche di alcune buone prove attoriali: su tutti spiccano il grande Adolfo Celi nei panni di un serafico antiquario, un giovane e quindi inusualmente capelluto Alessandro Haber nei panni di un prete e la giovanissima Nicoletta Elmi, bimba dai capelli rossi che andrà incontro ad un tragico destino e autentico prezzemolino nel cinema di paura italiano della prima metà degli anni ’70 (la ricordiamo in “Reazione a catena”, “Gli orrori del castello di Norimberga”, “Il mostro è in tavola… Barone Frankenstein”, “Le orme”, “Il medaglione insanguinato” e “Profondo rosso”).

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Il terribile prologo ci mostra un omicidio avvenuto sulle innevate colline di Ginevra nel 1968: una bambina di circa 8 anni, sfuggita momentaneamente al controllo della baby sitter, viene aggredita, strangolata e finita a colpi di pietra sulla testa da una misteriosa figura femminile che poi la seppellisce parzialmente sotto la neve. Mentre scorrono i titoli di testa alcuni ritagli di giornali d’epoca spiegano che le indagini si sono concluse con l’archiviazione del caso come omicidio ad opera di ignoti. L’azione ora si sposta a Venezia nel 1972: ne è protagonista lo scultore Franco Serpieri (George Lazenby) che, dopo essersi separato dalla moglie Elizabeth (Anita Strindberg) che ora vive ad Amsterdam, prosegue la sua vita da single anche se ha una relazione non ufficiale con un’altra donna, Ginevra Storelli (Dominique Boschero), segretaria di un influente avvocato. Dall’Olanda viene a trovarlo per qualche giorno la sua amata figlioletta Roberta (Nicoletta Elmi) ed ecco che riappare di nuovo l’inquietante figura femminile del prologo che spia continuamente i movimenti di padre e figlia… Purtroppo accade proprio ciò che lo spettatore immagina: mentre Franco si abbandona ad uno dei suoi incontri con la sua giovane amante la bambina viene lasciata in strada a giocare con alcuni amichetti e, una volta rimasta sola, uccisa. Verrà ritrovata il giorno dopo in un canale. Il padre non sa darsi pace e comincia ad indagare per suo conto…

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Naturalmente un grandissimo e determinante contributo all’atmosfera inquietante del film viene fornito dalle originalissime ed eccezionali musiche scritte da Ennio Morricone che in alcuni frangenti mettono davvero i brividi; la nenia con il coro dei bambini e il tema in cui le voci ossessive si ripetono in loop senza soluzione di continuità sono davvero da pelle d’oca, grazie anche alla strepitosa interpretazione del Coro di Voci Bianche diretto da Paolo Lucci… Morricone riprende una vecchia filastrocca inglese del XVIII secolo (“Who killed Cock Robin?”) che racconta della morte di un pettirosso trafitto da una freccia e che viene usata, nei paesi anglosassoni, come archetipo dell’assassinio. Anche il testo (scritto dalla moglie di Morricone) riprende la filastrocca originale: “Chi ha ucciso il pettirosso? / Io, ha detto il passero. / Con un mio arco ed una freccia / io ho ucciso il pettirosso. / Chi lo ha visto morire? / Io, ha detto la mosca. / Con i miei piccoli occhi / Io l’ho visto morire.” (Who killed Cock Robin? / I, said the Sparrow. / with my bow and arrow / I killed Cock Robin. / Who saw him die? I, said the Fly / with my little eye / I saw him die.”)

Chi piangerà quel morto?
Dice la tortorella:
“Io ch’ ero la sua bella,
io piangerò quel morto…”
Chi l’ ha visto morire?
“Io!” dice il moscerino
“Con quest’ occhio piccino
io l’ ho visto morire!”
Io.. Io… Io… Io…
Dice il passero:
“Io, col dardo e l’ arco io”
Dice il passero:
“Io ho ucciso il pettirosso…”

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Cast principale:

George Lazenby

Anita Strindberg

Nicoletta Elmi

Adolfo Celi

Alessandro Haber

Dominique Boschero

Regia: Aldo Lado

Edizioni in vhs: Shendene

Edizioni in dvd: Surf

Formato video 2,35:1 anamorfico

4 risposte a “Chi l’ha vista morire? (1972)”

  1. bellissimo!!…e bellissima recensione 😉

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  2. Fantastico Film!

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  3. Il mio preferito dopo mio caro assassino

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  4. Beh, niente male come doppietta… 😉

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